domenica 4 settembre 2016

Se tu perdi io rido, se tu vinci io piango


Nel post precedente ho commentato un articolo scientifico da poco pubblicato nel quale gli autori hanno tentato di studiare le alterazioni di un'emozione sociale nella malattia di Huntington (Se ho l'Huntington non godo delle tue disgrazie: è così?).

Torno sull'argomento per affrontare alcune importanti implicazioni sociali, non più cliniche.

Con il termine Schadenfreude s'intende il piacere provato per le disgrazie che capitano agli altri.
Con il termine Glückschmerz s'intende il dolore provato per le fortune che capitano agli altri.
Si tratta di due emozioni sociali che sono scatenate dal risentimento e dall'invidia verso determinate persone.

Studiare le variazioni di intensità di Schadenfreude e Glückschmerz nei diversi contesti sociali è importante per capire il tipo di manipolazioni attive che condizionano le nostre reazioni.
Ad esempio, selezionare le descrizioni negative di un gruppo può aumentare la nostra avversione verso i suoi membri, il nostro piacere quando capitano ad essi delle disgrazie, la nostra sofferenza quando hanno onori e buona sorte.

Diciamo la verità, l'empatia e la compassione non sono affatto universali.

Comprendiamo meglio la dinamica di Schadenfreude e Glückschmerz quando ci confrontiamo con persone di diversi gruppi etnici, diverse classi economiche, diverse appartenenze politiche.


Mina Cikara, che dirige il Laboratorio di Neuroscienze dell'Intergruppo all'Università di Harvard, analizza in modo innovativo tale dinamica (Cikara, Bruneau, Van Bavel e Saxe, 2014; Cikarae Fiske, 2013), non tanto in relazione a fattori individuali quanto in termini di interazione tra gruppi.
Noi interagiamo con altri gruppi – anche in situazioni pacifiche – in base a un pregiudio di empatia intergruppo: in determinate condizioni bambini e adulti assegnati casualmente a diversi gruppi mostrano maggiore empatia verso i membri del proprio rispetto ai membri degli altri gruppi.

Più si aumenta la competizione tra gruppi, più si rafforza il pregiudizio di empatia intergruppo e si innescano reazioni contro-empatiche extragruppo.

Non è necessario che i gruppi siano formati da lungo tempo: la solidarietà tra membri e l'avversione per i non-membri può essere opportunamente alimentata anche nei gruppi di nuova formazione. Non è neppure necessario avere a che fare direttamente con i non-membri.

La mancanza di empatia e compassione porta ad essere indifferenti alle sofferenze degli altri e addirittura a provare piacere per le disgrazie delle persone appartenenti ad altri gruppi.

Ecco che emergono invidia e risentimento, che a loro volta innescano Schadenfreude e Glückschmerz.



Come si può ridurre il pregiudizio di empatia intergruppo?
Si possono usare due strategie sperimentali: coinvolgere i membri di un gruppo in attività cooperative assieme ai membri di un altro gruppo oppure, in un contesto competitivo, fornire indizi che riducano la percezione del gruppo come entità.

Che implicazioni ha questa teoria nella vita reale?
Per Cikara, il pregiudizio di empatia intergruppo dispone all'ostilità e riduce i comportamenti prosociali. Ad esempio, in un ampio studio ha dimostrato che, quanto maggiore era il divario empatico di soggetti americani nei confronti di soggetti arabi, tanto minori erano le donazioni destinate ad associazioni arabe. Questo tipo di comportamento, inoltre, si protraeva anche dopo una settimana.

Se la discordia è guidata da fattori politici quali la concorrenza per le scarse risorse e le violenze della storia, essa può anche essere alimentata dalle fiamme della psicologia.


Cikara nei suoi studi affronta anche la tendenza, tipica delle situazioni di incertezza, ad attribuire un'etichetta che ha il solo scopo di ridurre la tensione.
È quello che succede, ad esempio, con la smania pseudodiagnostica di disturbo mentale per ogni atto terroristico che si verifichi in questi mesi – solo - nel mondo occidentale.


Le narrazioni – o per chi preferisce storytelling – politiche, economiche e giornalisitiche hanno un enorme potere nel cambiare gli atteggiamenti delle persone e possono aumentare in modo esplicito l'empatia verso il proprio gruppo e la contro-empatia verso altri gruppi, con gli effetti pericolosi di discriminazione e stigma.


Pensiamo, ad esempio, al filtro di informazioni sui migranti: più frequentemente ci arrivano notizie di aggressioni e di 'privilegi' (i mitici 35 euro e i favolosi alberghi) che, foraggiando la contro-empatia, scatenano invidia e risentimento (e quindi nella migliore delle ipotesi indifferenza ma più spesso Schadenfreude e Glückschmerz). Sono invece più rare le interviste ai migranti, le storie personali, l'interesse per le motivazioni che inducono a rischiare la vita in un viaggio e quasi inesistenti le descrizioni dei tanti benefici per le comunità che li accolgono.

Le descrizioni degli 'altri' come persone sono le più efficaci nel ridurre il pregiudizio di empatia intergruppo: si tratta di descrivere personalità, fatiche, speranze, pensieri, emozioni e sogni.


In conclusione, l'empatia non sta in un neurone.
L'empatia dipende da una complessità di fattori individuali e sociali.
L'empatia e la contro-empatia possono essere modulate da interventi politici, economici, psicologici e sociali.

Sapere che possiamo essere empatici e contro-empatici ci spinge ad approfondire le diverse motivazioni sottostanti ad ogni reazione sociale e a conoscere i pregiudizi personali o quelli indotti da fonti esterne.
A far sì che questi pregiudizi non ci rendano meno solidali e più ostili. O almeno ad essere consapevoli e responsabili delle cause della nostra intolleranza.

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